(El Mundo) Trucchi pubblicitari, coloranti derivati dal petrolio, allarmi sugli effetti negativi sulla salute… L’universo dei colori alimentari (aggiunti) è tanto curioso quanto controverso. Qual è la verità sulle tonalità di ciò che mangiamo?

Si dice che, a volte, il senso della vista stimola il nostro appetito. Forse questa è la risposta alla domanda sul perché si aggiunge colore al cibo. Ci sono alimenti come la frutta e le verdure che già possiedono una buona quantità di colore e ciò non le rende necessariamente il piatto più desiderato del menù. Tuttavia, in altri prodotti, il dettaglio cromatico può fare la differenza tra consumarli o evitarli. Pensiamo, per esempio, a uno yogurt al gusto di fragola che è di colore bianco. Questo sarebbe il suo colore naturale se non aggiungessimo coloranti, ma, per quanto siamo consapevoli di questo fatto, noi come consumatori ci aspettiamo che quello yogurt abbia un tono rosato. E questa mancanza di concordanza tra il percepito e l’atteso può provocare rifiuto. L’esempio estremo di questo caso è riportato da Oliver Sacks nel suo libro “Un antropologo su Marte”. Il protagonista di una delle sue storie, il signor I., è un artista che soffre di acromatopsia cerebrale a causa di un incidente stradale. Questo significa che ha smesso non solo di percepire i colori ma anche di riconoscerli. Nel suo cervello tutto è diventato bianco e nero, e per quanto tenti di richiamare alla memoria non riesce a evocare di nuovo tutta la palette di colori della natura. Questo influisce sul suo lavoro, ma anche sulla sua vita quotidiana: il cibo improvvisamente non risulta più così appetitoso. I pomodori sono diventati neri, le verdure hanno assunto tonalità grigiastre… Col tempo decide di adattare la sua dieta alla sua nuova scala di (non) colori, perché gli risulta prioritario che l’immagine concordi con l’alimento. Così, bandisce gli yogurt alla frutta e passa a quelli naturali, dimentica le olive verdi e comincia a consumare quelle nere.

Esistono molti studi che analizzano questa discordanza tra il percepito e l’atteso, esperimenti in cui sono stati modificati i colori delle bevande alla frutta per fare in modo che, per esempio, una bevanda di ciliegia di colore arancione fosse descritta come “di sapore d’arancia”, o che solo un 20% potesse identificare una bevanda d’arancia (questa volta sì) sotto una luce tenue, mentre non avrebbero problemi a riconoscere una bevanda d’uva (di colore scuro) sotto la stessa luce. Il colore può quindi fare una differenza importante, ed è per questo che a volte si interviene direttamente nel processo. Non è una novità, prima che esistessero i foodies, Instagram o addirittura la fotografia a colori, il cibo già ci colpiva visivamente. Non a caso, alcuni dei coloranti che ancora si usano oggi risalgono niente di meno che all’antica Roma, dove lo zafferano era già un condimento abituale. Con il tempo abbiamo imparato nuove tecniche per aumentare la palette di colori (il blu è un colore difficile da replicare, sia nell’arte che nel cibo), ma abbiamo anche imparato a essere rigorosi nel processo. Gli additivi non possono essere usati liberamente ma devono essere autorizzati per l’uso.

MARGARINA

Riusciresti a distinguere a vista la margarina dal burro? Questa è l’idea. Il burro ottiene il suo colore giallastro dal colorante naturale (betacarotene) presente nel pascolo di cui si nutrono le mucche. Mentre la margarina, ottenuta da una miscela di grassi animali e vegetali, presenta un colore biancastro che la rende meno attraente. Per questo motivo si è deciso di colorarla artificialmente, il che ha avuto un effetto tale che per molti anni l’industria lattiero-casearia è riuscita a vietare l’uso del giallo nella formula della margarina, portando a soluzioni creative di colore rosa o marrone.

BIBITE

Che una bevanda blu non sia dovuta all’azione della natura non è un segreto, ma forse ci è difficile capire che le bibite sono quasi sempre una formula di acqua colorata. Se parliamo di bibite alla cola, il protagonista sarà l’E150d, il colorante caramello, e se parliamo di bibite all’arancia o limone allora probabilmente si tratterà di caroteni. Nelle energetiche possiamo trovare inoltre riboflavine o coloranti blu (antocianine, blu brillante).

WHISKY

Non si tratta solo del whisky, ci sono molti liquori che impiegano coloranti nella loro elaborazione, in particolare l’E150, la stessa gamma utilizzata nelle bibite alla cola. Il motivo per cui un rum o un whisky incorporano questo tipo di inganno cromatico è duplice: mantenere una certa uniformità visiva tra diversi lotti e anche dare l’impressione che si tratti di una bevanda invecchiata (più di quanto non lo sia in realtà).

YOGURT AI GUSTI

Uno yogurt al gusto di fragola contiene tutto tranne la frutta, quindi difficilmente potrebbe avere un colore rosato se non fosse per l’aiuto dei coloranti. E, anche se non è un segreto, il consumatore non accetta facilmente uno yogurt bianco come uno yogurt alla fragola, quindi è un trucco consentito. Lo stesso accade con altri gusti o persino con altri dessert a base di latte come le creme o i budini alla vaniglia e i loro caroteni. Ma attenzione, non tutto è inganno: i dessert a base di latte o i frappè al cioccolato devono il loro colore alla presenza, questa volta sì, del cacao. Senza trucco né inganno.

VERDURE IN SCATOLA

I piselli sono verdi, sì, ma non è raro che nelle conserve si impieghi un colorante per dare loro un tono ancora più vivo (E142), e allo stesso tempo, correggere l’evidente perdita del colore naturale. La soluzione finale a volte sembra un po’ radioattiva o ci ricorda la famosa kriptonite, ma non siamo Superman e il suo uso è perfettamente sicuro.

SALMONE

Nel caso del salmone il colorante viene aggiunto direttamente alla dieta del pesce, che quando viene allevato in acquacoltura non si nutre di crostacei, i veri responsabili di quel colore rosato così caratteristico. Senza questa ingestione di carotenoidi, la carne del salmone diventerebbe pallida e grigiastra, nulla a che vedere con il colore che gli dà il nome e niente di attraente per il consumatore.