Il 2024 è l’anniversario importante della morte dell’uomo che descrisse le terre sconosciute dell’Oriente in un libro che è stato un bestseller quando la stampa non era ancora stata inventata in Europa. Un mito per viaggiatori e lettori. Anche per quelli di oggi: film, serie TV, fumetti, persino videogiochi

L’8 gennaio 1324 Marco Polo morì a Venezia. Un mercante che aveva trascorso più di 20 anni in terre allora sconosciute dell’Est. E che ha lasciato le sue avventure dettando il suo libro a un certo Rustichello di Pisa mentre entrambi erano prigionieri a Genova. Il libro è stato copiato a mano. Le prime stampe furono fatte nel 1477, in tedesco e italiano. Conosciuto in un primo momento con il suo titolo francese, “Le dévisement du monde” (la descrizione del mondo), divenne presto meglio conosciuto come “Il Libro delle Meraviglie”, o anche “Il Milione”. Chi è veramente Marco Polo? Fin dalle prime edizioni del suo libro viene presentato come un gentiluomo o mercante veneziano. Deve essere nato nel 1254, ma dove? I croati sono convinti che fosse sull’isola dalmata di Korcula. Il governo croato ha appena restaurato (o ricreato) il presunto luogo di nascita su quest’isola adriatica, trasformandolo in una villa. Il merchandising intorno alla sua figura invade questo prezioso territorio fortificato. Il cognome Polo potrebbe essere di origine croata, sì, ma il bambino Marco sarebbe stato portato a Venezia da uno zio mercante lì stabilitosi. L’isola di Korcula era allora sotto il dominio di Venezia, la grande potenza della regione opposta a Genova e ad altre repubbliche marinare come Pisa o Amalfi.

Proprio in una schermaglia navale tra Genova e Venezia, quando Polo era già tornato dall’Oriente, fu catturato e portato a Genova, dove dettò il suo libro. Aveva accompagnato il padre, Niccolò, e lo zio Mateo per la prima volta quando aveva solo 17 anni. Poi è tornato da solo e ha conquistato la fiducia del Grande Khan mongolo, i dialoghi immaginari tra Kublai Khan e Marco Polo costituiscono uno dei libri più brillanti del XX secolo, “Le città invisibili”, di Italo Calvino. Una volta tornato in Europa, si stabilì, sposò una signora di nome Donata Badoer, ebbe quattro figlie e alla sua morte fece testamento a loro favore.
Per comprendere e apprezzare la sua impresa, dobbiamo tener conto del suo tempo: il XIII secolo iniziava a lasciarsi alle spalle l’oscuro Medioevo e fu il preludio al Rinascimento. L’arte gotica inondò di luce cattedrali e templi, le prime università si stavano ambientando, c’era fame di nuove conoscenze e scoperte. L’Oriente è rimasto un mistero. I pochi pioneri si erano limitati a quello che oggi chiamiamo Medio Oriente. Pellegrini cristiani avevano raggiunto i Luoghi Santi fin dal IV secolo, tra cui l’ispanica signora Egeria, intorno all’anno 380.

Un episodio cruciale nella scoperta dell’Oriente furono le Crociate, che iniziarono nell’XI secolo. Ma nel secolo di Marco Polo la fantasticheria crociata si era estinta. E la mappa del mondo stava cambiando: nell’ignoto Estremo Oriente, Gengis Khan gettò le basi dell’impero mongolo nel 1206; in pochi anni, quell’impero si estendeva dalla Corea ai Balcani. Per gli europei, paradossalmente, fu una grande opportunità, perché fu loro permesso di commerciare in tutto quel territorio, al sicuro dal potere musulmano che attanagliava il sud. Catai (Cina) e Cipango (Giappone) sono entrati nelle mappe. Marco Polo fu uno dei mercanti, missionari e avventurieri che approfittarono di questa opportunità. Ma tra il 1346 e il 1351 la Peste Nera devastò l’Europa (200 milioni di morti) e un paio di decenni dopo, nel 1368, l’impero mongolo cadde, ponendo così fine a quell’epoca di una certa cordialità e scambio tra Oriente e Occidente.

“Il Milione” di Marco Polo è in realtà la somma di tre volumi: il Primo libro, il Secondo libro e Il Libro dell’India. In essi descrive cose inaudite, fino ad allora sconosciute. Come “un liquore come l’olio che sgorga dalla terra” (petrolio), bruciando ”pietre nere” (carbone duro), carta moneta (che non sarebbe stata utilizzata in Europa fino al 1661). Parla di frutta esotica, bevande di riso come sostituti del vino, gemme e pietre preziose, sete assortite, spezie, animali fantastici, come l’unicorno (in realtà, il rinoceronte) o l’uccello Roc o Rush che appare nei racconti di “Sinbad e Le Mille e una Notte”. Menziona “maccheroni e altri piatti a base di pasta”, ma non è vero che portò in Europa i” noodles cinesi ” o spaghetti: la pasta filata era già fabbricata nei mulini arabi della Sicilia molti secoli prima.
Ma forse il merito più grande di Marco Polo e del suo libro è che, a sua insaputa, lavora come antropologo “avant lettre”. Descrive costumi scioccanti. Ad esempio, dice che alcuni bruciano i loro morti, altri praticano il cannibalismo, si coprono di tatuaggi, si curano i denti con l’oro, “vanno completamente nudi, sia uomini che donne, hanno relazioni carnali come i cani per strada, non considerano la malvagità che uno straniero li disonora a capriccio con le loro mogli o figlie.Nello Yunnan, il marito, dopo il parto, entra a letto con il bambino per 40 giorni, mentre la moglie si prende cura della casa. E in India, le mogli (e talvolta i servi) vengono gettate sulla pira dove viene bruciato il defunto”. Seta e spezie sono una costante nel suo libro. Non menziona qualcosa come una via della seta (tanto promossa ora dalle autorità cinesi), ma cita il Camino de Santiago come qualcosa di già popolare allora. Per quanto riguarda le spezie, dobbiamo pensare che questo era l’obiettivo di Colombo, che, a proposito, teneva una copia del libro di Marco Polo annotata a margine con la sua calligrafia. Quando, sul letto di morte, la moglie e gli amici pregarono Marco Polo, in quella trance finale, di confessare se quello che aveva detto nel libro era vero, balbettò a malapena: “Ho raccontato solo la metà di quello che ho visto.”

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