I maxi-trimarani che partecipano all’Arkea Ultim Challenge, la regata in solitaria intorno al mondo, sono assistiti da un insieme di sensori e strumenti di grande aiuto alla performance (L’Humanité)
Guardandoli decollare così facilmente e planare sopra le onde, si potrebbe quasi dimenticare che queste enormi imbarcazioni in carbonio dalle dimensioni impressionanti pesano circa quindici tonnellate. Ma per navigare da solo su una barca grande come un edificio (32 metri di lunghezza, 23 metri di larghezza) e che può superare i 40 nodi (circa 80 km/h), il timoniere di un Ultim è costretto a ricorrere a una serie di tecnologie senza le quali non potrebbe sfruttare appieno il potenziale della sua barca. Ricoperti di sensori e strumenti di aiuto alla performance, questi maxitrimarani, che si sfidano nell’Arkea Ultim Challenge, la regata intorno al mondo in multicoque giganti, sono gioielli ultraconnessi.
Ci sono ovviamente gli strumenti di navigazione di base per conoscere le prestazioni e l’ambiente immediato: l’anemometro (velocità e direzione del vento), la giravolta (angolo di progressione della barca rispetto al vento), il sensore di velocità e anche l’Automatic Identification System (AIS) per localizzarsi ed esaminare il traffico marittimo nell’area attraversata. Poi intervengono gli strumenti di misura grazie a centinaia di sensori (fino a 500 sugli Ultim più recenti), sparsi un po’ ovunque sulla barca e nella struttura, che forniscono in tempo reale informazioni sugli sforzi a cui sono sottoposti i galleggianti, le braccia di collegamento, i foil e anche sulla tensione del sartiame.
Queste barche sono così tecniche, ci sono così tante cose da regolare che, senza sensori, è impossibile. Più la barca è grande, meno si può andare a vedere i dettagli, spostarti, quindi ci sono dei sensori. In caso di anomalie o pericoli, si attiva un allarme. Ci sono così tanti punti di fibra ottica oggi sulla barca che c’è un controllo permanente a bordo ma anche a terra. Si può monitorare la barca per osservarne gli sforzi che alla lunga si diffondono ovunque. A terra, i team, che analizzano costantemente i dati, possono segnalare a distanza al timoniere che ci sono sforzi anomali in una determinata parte della struttura, come in Formula 1 dove gli ingegneri, dai box, avvertono in tempo reale, grazie alla telemetria, il pilota sulla degradazione dei suoi freni o un problema al motore.
A causa delle dimensioni della barca e delle appendici (un foil può misurare fino a 4 metri di altezza e pesare 450 chili), il timoniere dispone anche di sistemi idraulici che regolano i foil per ottimizzare la velocità. Per aiutarli a utilizzare il potenziale della loro “macchina” nel miglior modo possibile, i navigatori hanno anche strumenti di aiuto alla performance. Alcune barche li hanno a bordo. La base di dati registrati si alimenta man mano, e dei grafici propongono costantemente, all’istante, con le condizioni del momento, la migliore media dell’insieme dei dati. L’intelligenza artificiale si annuncia già come il prossimo passo.
Ma gli occhi, le orecchie, le sensazioni nelle gambe, i piedi, il sedere, tutto questo rimane molto importante. Le persone che dicono che queste barche sono telecomandate da terra sbagliano. È come in Formula 1, le persone danno informazioni, ma ciò non cambia il fatto che è il pilota a sentire se la barca vola.