Le popolazioni delle tribù indiane gradualmente prendono il controllo delle narrazioni in cui sono rappresentate. La prova con tre nuove produzioni, “Dark Winds”, “Echo” e “True Detective: Night Country” (L’Obs)

Nel 1973, una giovane attivista nativa americana di nome Sacheen Littlefeather salì sul palco degli Oscar per rappresentare Marlon Brando, il “Padrino”, assente dalla cerimonia per protestare contro “il trattamento degli indiani americani nell’industria cinematografica”, rifiutando in suo nome il premio come miglior attore. Ma quest’anno, un’indiana americana potrebbe benissimo vincere l’Oscar come migliore attrice: Lily Gladstone, rivelazione dell’ultimo film di Martin Scorsese, “Killers of the Flower Moon”. In un delizioso rovesciamento della storia, da poco gli attori nativi americani stanno dando filo da torcere ai cowboy. Almeno nel mondo delle serie tv, dove, dopo la pionieristica “Reservation Dogs” (Disney+), narra da tre stagioni le peripezie di un gruppo di giovani Sioux in una riserva dell’Oklahoma, il thriller “Dark Winds” e l’ultima creazione della Marvel, “Echo” (Disney+), vantano un cast quasi completamente nativo americano.

Senza saperlo, Tony Hillerman, lo scomparso scrittore bianco che i suoi amici Navajo chiamavano “Colui che ha paura del suo cavallo”, ha avuto un ruolo fondamentale. Nato a Sacred Heart, in Oklahoma, è cresciuto con gli indiani Potawatomi, Seminole e Sac e Fox prima di dedicare la sua vita a raccontare la loro cultura in gialli con protagonisti Joe Leaphorn e Jim Chee, due membri della polizia tribale Navajo. Se “Dark Winds” arriva oggi sugli schermi, è perché due pesi massimi dell’industria dell’intrattenimento, l’attore-regista Robert Redford, che già nel 1991 aveva acquisito i diritti dell’opera di Hillerman, e lo scrittore George R.R. Martin (il signore di “Game of Thrones”) hanno avviato la produzione. Lo spettatore scopre un’efficace trama poliziesca in paesaggi mozzafiato e usanze strane dove si mescolano superstizione, stregoneria e attivismo politico. Soprattutto, per la prima volta, una popolazione abituata a ruoli di fuorilegge da oltre un secolo passa dalla parte giusta dell’autorità. Spiccano due figure: l’attore Kiowa Gordon, che da due stagioni e presto una terza, interpreta Jim Chee, il più giovane dei due eroi. Originario della tribù Hualapai per parte di madre, questo bel ragazzo è cresciuto in Arizona con i suoi sette fratelli e sorelle. “Da adolescente, ho iniziato a fare cavolate. Per rimettermi in riga, mia madre mi mandò alla Chiesa mormone frequentata da Stephenie Meyer, autrice della saga di “Twilight”. Un giorno, lei mi consigliò di partecipare al casting per l’adattamento cinematografico dei suoi libri”. Tra migliaia di candidati, ottenne un ruolo ricorrente nella saga.

Se il giovane Kiowa ha trovato una scorciatoia preziosa per entrare a Hollywood, Zahn McClarnon, che interpreta il suo collega e mentore nella serie, ha dovuto, invece, prendere la strada più lunga. “Per passare dalla comparsa ai piccoli ruoli, poi ai personaggi ricorrenti e, infine, ai ruoli principali, ho impiegato venticinque anni”. Con un volto scolpito e tratti emaciati, è noto soprattutto per il suo ruolo di spietato assassino nella serie “Fargo” (stagione 2). Di origine Hunkpapa Lakota per parte di madre e irlandese per parte di padre, Zahn è uno di quegli individui il cui sguardo testimonia le difficoltà affrontate. “Da giovane, ho avuto problemi di dipendenza e ho vissuto per strada”, ammette a malincuore. L’interprete di Akecheta nella serie “Westworld” preferisce ricordare la scena che da bambino lo convinse a intraprendere una carriera di attore. Per “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, il regista Milos Forman aveva notato vicino al luogo delle riprese un guardia forestale indiana di 2,04 metri di nome Will Sampson e gli aveva affidato il ruolo di Capo Bromden, un paziente sordomuto del manicomio dove il personaggio interpretato da Jack Nicholson guida la ribellione. Proprio prima di subire una seduta di elettroshock, Bromden si rivolge al suo compagno di sventura, in una scena diventata cult.

Disney ha recentemente lanciato “Echo“, una serie che presenta una nuova eroina Marvel interpretata da Alaqua Cox. Quest’attrice, originaria della riserva Menominee nel Wisconsin, ha la particolarità di essere sordomuta e amputata di parte della gamba destra. Un profilo unico che corrisponde a quello del personaggio creato nei fumetti nel 1999. “L’inclusività sta migliorando a Hollywood, anche se avrei preferito che accadesse molto prima. Da bambina, vedevo solo bianchi sugli schermi, nessuna persona di colore, nessuna persona con disabilità e nemmeno usare la lingua dei segni”. Trent’anni più vecchio di lei, Zahn McClarnon attribuisce questa improvvisa apertura a una moltitudine di fattori: “Le piattaforme di streaming hanno un enorme bisogno di contenuti e la gente ha fame di nuove narrazioni con prospettive inedite. All’inizio della mia carriera, speravo che un giorno avremmo potuto raccontare le nostre storie. Ora ci siamo: nel nostro team ci sono tre sceneggiatori Navajo”.

In un Paese dove 600 nazioni native americane vivono ancora nelle “rez” – abbreviazione di riserve -, questo passaggio in primo piano è un atto politico. Così, “Dark Winds” ricorda la tragica storia recente di questi popoli. “Mostriamo la rivolta per i diritti delle popolazioni autoctone, le atrocità commesse dal governo come le campagne di sterilizzazione forzata delle donne negli anni ’70 e continueremo nella terza stagione”, afferma McClarnon. Originario della tribù Chickasaw, Graham Roland, il creatore di “Dark Winds”, passato attraverso serie come “Prison Break” e “Lost”, riconosce che “il semplice fatto di essere un nativo americano costituisce un’esperienza difficile e dolorosa che alcuni individui di talento sanno trasformare in arte”. Non sarà Kali Reis a smentirlo. Questa ex pugile professionista di origine Cherokee è la partner di Jodie Foster nella serie “True Detective: Night Country” (Prime Video). “Bisogna tener presente una cosa”, relativizza Kiowa Gordon. “Certo, Zahn ed io siamo in prima linea, ma restiamo l’eccezione che conferma la regola”. Il suo partner sogna di abbattere un altro tabù: “Sono un attore prima di tutto. Non è vietato pensare che un giorno mi vengano offerti ruoli che non siano etnocentrici”. In un Hollywood finalmente arrivato alla maturità, gli indiani non dovranno più… interpretare gli indiani.

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