La preparazione dello “slow coffee” non è solo un modo per ottenere una bevanda più gustosa e aromatica, ma è anche un rituale da vivere con calma e consapevolezza. Un momento per prendersi cura di sé e assaporare i piaceri semplici della vita (Le Monde)
Qualche giorno fa, osservando il barista versare il caffè in un bar si vede un gesto meccanico e il caffè viene generalmente servito in uno o due minuti. E, a volte, la miscela ha un odore di bruciato, accompagnato da un forte gusto amaro, quasi acre. Questo significa che l’essere quasi ansiosi si prendere un caffè ne fa perdere il piacere, nel senso epicureo del termine. Nasce così l’emergere dei caffè “di specialità”, una tendenza che consiste nel selezionare chicchi di caffè di qualità provenienti da terroir certificati (Etiopia, Kenya in Africa o ancora Colombia, Panama in America Latina) e poi torrefatti artigianalmente con sfumature aromatiche molto diverse. Ecco il concetto di “slow coffee” (letteralmente, “caffè lento”). Questa tendenza, diffusa da un numero sempre crescente di coffee shop in Italia e nel mondo, promuove proprio il ritorno al caffè vecchio stile, quello che ci si prende il tempo di preparare da soli. Si parla anche di metodo “dolce”, in contrapposizione al metodo meccanico – tanto rapido quanto brutale – a cui si ricorre tradizionalmente per la preparazione di un espresso.
Il caffè filtro così ottenuto dà vita a una gamma di sapori molto più ampia e complessa di quella di un caffè espresso. Tra i cinque sapori primari, il più importante per il caffè filtro è senza dubbio l’acidità. Aggiunge brillantezza e freschezza, si associa a note fruttate positive e dà corpo al caffè. Si possono quindi classificare gli aromi in diverse categorie: floreali, fruttati, erbacei, a frutto a guscio, caramellati, cioccolatosi, medicinali, speziati e affumicati.
La preparazione dello slow coffee prevede un rituale di gesti precisi: dopo aver messo a scaldare una boule a collo di cigno, un utensile dal becco curvo permette di rallentare il flusso dell’acqua. Poi, si pesano con cura i chicchi di caffè: ci vogliono esattamente 60 grammi per litro d’acqua, è il rapporto ideale. Li si versa quindi in un grande macinacaffè elettrico, ottenendo una macinatura fresca e omogenea. La macinatura viene delicatamente trasferita in un filtro, che è stato preventivamente sciacquato per togliere il sapore di carta. Il tempo di infusione e la temperatura dell’acqua giocano un ruolo fondamentale sugli aromi che si ritrovano nella tazza. Sono tante microvariabili su cui giocare per rivelare questa o quella particolarità del caffè. Un’infusione lenta e controllata: si versa lentamente l’acqua calda sopra il filtro, compiendo una serie di movimenti concentrici. La macinatura si gonfia (“degraze”, per essere precisi) e rilascia nell’aria un primo profumo che stuzzica i recettori olfattivi.