Al contrario dei fisiognomisti, alcune persone soffrono di prosopagnosia, l’incapacità di memorizzare un volto e di associarvi un nome (Le Figaro)

Le convenzioni sociali vogliono che, quando si incontra una persona di nostra conoscenza la si saluti. Alcuni sono molto bravi in questo piccolo gioco: ricordano al primo sguardo chi è la persona incontrata, come si chiama e in quale contesto si è svolto l’incontro, anche se l’hanno vista solo una volta, molto tempo fa. Ma, per altri, è più complicato: perché e come salutare qualcuno che non si riconosce assolutamente? Questa incapacità di riconoscere i volti si chiama prosopagnosia – dal greco “prosopon”, volto, e “agnosis”, assenza di conoscenza.
Questo fatto talvolta obbliga a strane contorsioni per non apparire scortesi: sorrisi discreti che non impegnano molto, banalità finché non si raccolgono abbastanza indizi per riconoscere l’interlocutore.

Esistono tanti gradi di prosopagnosia. Il Cambridge Face Memory Test permette una valutazione: consiste nel tentare di memorizzare il volto di sei uomini, poi di differenziarli tra nuovi volti presentati a un ritmo abbastanza rapido. I partecipanti ottengono in media un tasso di successo dell’80%, ma questo tasso crolla nelle persone affette da prosopagnosia. Queste ultime devono aver incontrato una persona decine di volte prima che il loro volto cominci finalmente a essere memorizzato. E nei casi più gravi, la persona non riconosce nemmeno il proprio volto nello specchio…
Riconoscere un volto attiva diverse aree nel cervello: quelle visive occipitali così come le aree associative situate nella parte inferiore del lobo temporale che permettono di collegare ciò che è stato visto con ciò che è conosciuto per identificare il suddetto volto. Poiché il problema può avere origine in diversi punti del cervello, la prosopagnosia può assumere diverse forme: alcuni non riconoscono i tratti come quelli di un volto (prosopagnosia apperceptiva), mentre altri riconoscono chiaramente che si tratta di un volto ma non riescono a etichettarlo (prosopagnosia associativa).

La maggior parte delle volte, la prosopagnosia è congenita, presente fin dall’infanzia. In questo caso un disturbo dello sviluppo neurologico è la causa: la persona è sempre stata scarsa, se non mediocre, nel riconoscimento facciale perché le connessioni tra le aree occipitali e temporali non sono ottimali. Ma, quando il disturbo si manifesta successivamente, si deve cercare un ictus, la malattia di Alzheimer o un tumore. Questo secondo caso è fortunatamente più raro: se la prosopagnosia in generale colpisce circa il 3% degli individui, solo una persona su 30.000 presenta un disturbo secondario dovuto a un’altra patologia.
La rivista “Cortex” ha pubblicato nel 2023 il caso di una donna che ha sviluppato prosopagnosia dopo aver contratto la forma lunga del Covid-19: durante un incontro familiare, si è resa conto che non riusciva più a riconoscere il proprio padre, come se la sua voce provenisse dal volto di uno sconosciuto.
Per determinare se altri pazienti presentassero questo tipo di disturbo cognitivo, la squadra che l’ha seguita ha interrogato 54 persone affette da Covid lungo. È emerso che la maggior parte di esse si lamentava di difficoltà nell’identificare le persone, oltre ad altri disturbi come difficoltà di orientamento. La conclusione è stata che il Covid-19 potrebbe produrre deficit neuropsicologici gravi e selettivi simili ai deficit osservati dopo lesioni cerebrali. Una persona affetta da prosopagnosia deve trovare altri modi per ricordarsi degli altri. Questo non è un’impresa impossibile, perché una persona non si riduce al suo volto: la sua silhouette, il modo di camminare, la voce, le sue intonazioni ed espressioni sono tutti indizi che permettono di riconoscere un individuo. Bisogna solo prestare attenzione e ricordarsene per il prossimo incontro.

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