Contrariamente a molte previsioni, la tauromachia è ancora viva e vegeta anche se ha preso connotazioni politiche più che ambientaliste (Le Nouvel Economiste)
Ogni anno, il 16 maggio, le arene spagnole osservano un minuto di silenzio per onorare la memoria di Joselito, uno dei più grandi matador di tutti i tempi, ucciso in azione nel 1920. Il pericolo incombe sempre su questo tipo di spettacolo. Una statua di Alexander Fleming, che scoprì la penicillina nel 1928, si erge all’esterno dell’arena di Madrid, in segno di ringraziamento da parte di tutti i toreri che sono sopravvissuti a gravi ferite grazie alla medicina moderna. Il rituale della corrida è cambiato poco dalla scomparsa di Joselito. La familiarità della disciplina e il suo radicamento nella tradizione fanno parte dell’attrattiva dello spettacolo: i passaggi con il mantello per testare e stancare la bestia, i colpi di lancia dei picadores a cavallo, i banderilleros che piantano picche multicolori nel garrese del toro, e poi i passaggi del matador con la muleta (il pezzo di stoffa rossa tesa su un bastone che il matador usa per provocare e dirigere le cariche del toro) prima del colpo di grazia.
Città del Messico possiede l’arena più grande del mondo. Ma gli oppositori della tauromachia stanno diventando più audaci. Il 28 maggio, i deputati colombiani hanno votato a favore di un divieto nazionale della corrida, una legge che sarà presto promulgata dal presidente di sinistra del Paese, Gustavo Petro. In Messico, la stagione delle corride si è potuta svolgere solo dopo l’annullamento di una decisione giudiziaria che le vietava. Durante una manifestazione che aveva l’obiettivo di bloccare il traffico, gli oppositori della disciplina portavano cartelli con la scritta: “Non è arte. È tortura”. Cinque dei 32 stati messicani l’hanno vietata. A maggio, Ernest Urtasun di Sumar, la coalizione di estrema sinistra spagnola e partner minore del governo, ha annunciato l’annullamento del premio nazionale di tauromachia. “La gente capisce sempre meno che si torturino animali e si assegnino premi per questo”. In Messico, la critica della disciplina non è tanto una prerogativa della sinistra o della destra, quanto una manifestazione dell’attaccamento dei suoi sostenitori alla Spagna. Undici stati del centro del paese hanno inscritto la tauromachia nel loro patrimonio culturale. Ramiro Alatorre, presidente dell’Associazione Nazionale per l’Allevamento dei Tori da Combattimento, ritiene che gli oppositori siano soprattutto presenti nella capitale e siano “estranei alla nostra cultura e alle nostre radici”.
In altre parole, la corrida ha lasciato l’arena sportiva per entrare in quella politica. In Spagna, gli elettori di sinistra spingono sempre più per il divieto della corrida, mentre quelli di destra vogliono non solo che rimanga legale, ma anche che sia sovvenzionata dallo Stato. Non è proprio “Dimmi cosa pensi della corrida e ti dirò cosa pensi della Palestina”, ma non ci siamo lontani. La tendenza è comunque radicalmente cambiata rispetto a una decina di anni fa, quando la corrida era considerata una tradizione più accettabile. La critica alla tauromachia non è nuova e non è prerogativa della sinistra. Un decreto papale ha vietato la corrida nel 1567 e non è mai stato abrogato. Ernest Hemingway ha definito questo sport “decadente” in “Morte nel pomeriggio”, anche se l’ha sempre amato, da cacciatore di grossa selvaggina quale era. Nel 2010, il governo catalano, spinto dai nazionalisti regionali, ha imposto un divieto della corrida (annullato in seguito dalla Corte Costituzionale, ma nessun spettacolo di questo tipo è ripreso da allora in Catalogna). Nel 2022, il governo socialista spagnolo ha dichiarato che il “bonus cultura” destinato ai giovani per riprendere le attività dopo la pandemia non poteva essere utilizzato per le corride. Un tribunale ha respinto questo divieto ed esteso l’uso di questo “bonus cultura” alle corride.