Il primo ministro Narendra Modi ha inaugurato il gigantesco tempio di Ayodhya. Un simbolo del nazionalismo indù, costruito sulle rovine di una moschea distrutta durante sommosse sanguinose (La Croix)
Nella fitta nebbia invernale, enormi gru lavorano sulla struttura. “Viva Rama”, cantano gli operai che iniziano la loro giornata di lavoro. È impossibile avvicinarsi di più a questo tempio di Rama, che per i nazionalisti indù rappresenta niente meno che una svolta civilizzatrice. Non è ancora completato, ma non importa. Il primo ministro Narendra Modi lo ha inaugurato, a pochi mesi dal terzo mandato che ambisce a ottenere.
Ayodhya, città situata nello stato dell’Uttar Pradesh, è la storia di un piccolo terreno che incarna tutte le rancori religiose del Paese. Se per alcuni il conflitto risale a cinque secoli fa, è nel 1992 che esplode, quando una folla di indù distrugge Babri Masjid, una moschea risalente al 1528: per loro, nasconde il luogo di nascita del dio indù Rama, l’eroe dell’epopea mitologica del Ramayana. Seguono pogrom che causano migliaia di morti, principalmente musulmani: le case bruciate erano segnate con una croce. Per questi estremisti indù si tratta di cancellare l’onta di una moschea costruita su un luogo sacro. Tuttavia, questa distruzione, accompagnata da un vero e proprio massacro, viola la legge indiana che garantisce la perpetuità delle strutture religiose dall’indipendenza, nel 1947. Dopo molti dibattiti, nel 2019, la Corte Suprema ha autorizzato comunque la costruzione di un tempio indù sulle rovine.
Narendra Modi, che cavalca la vendetta degli indù contro le invasioni musulmane del passato, ha colto l’occasione per farne una pagina di storia. Ovunque, grandi viali e hotel. Per gli indiani Ayodhya sta diventando la capitale mondiale della spiritualità: “si tratta di ricreare l’atmosfera della città quando Rama era re”. Lungo il canale, vecchi edifici sono illuminati. Sulle facciate vengono proiettati cartoni animati ispirati al Ramayana. Laser e fontane completano questo scenario vistoso. Tra gli abitanti, la tragedia del 1992 sembra dimenticata.
Il tempio di Rama, grande 5.000 metri quadri, è finanziato da donazioni private. Il governo indiano ha inoltre investito più di 3 miliardi di euro per trasformare Ayodhya in un “Vaticano indù”. Un aeroporto in onore di Rama e una città matrimoniale emergono dalla nuda terra con la speranza di accogliere 700.000 visitatori al giorno. Ma non tutti traggono vantaggio dal boom. “Sono uomini d’affari di altri stati, come il Gujarat, che investono qui”, si lamenta un piccolo commerciante. “Per noi, gli affitti sono esplosi.” Nella città vecchia, un sacerdote indù si dispera. “Molti hanno perso la loro casa per allargare le strade. Quanto al mio tempio, nonostante i milioni annunciati, lo mantengo con la mia pensione.” I tesori musulmani della città sembrano abbandonati.