(Le Monde) Questa tecnica giapponese di abbattimento, che riduce la sofferenza dell’animale e ne migliora la conservazione, sta conquistando i gastronomi francesi

Nella città portuale di Yaizu, a sud-ovest di Tokyo Naoki Maeda non è un’autorità locale, ma un pescivendolo e molti cuochi venuti appositamente da Kyoto (a quattro ore di distanza) vogliono imparare come sfruttare al meglio i prodotti del mare. La tecnica di Maeda, soprannominato il “pescivendolo magico” è unica perché è capace di trarre il meglio da ogni pesce. L’artigiano impiega circa tre ore per spiegare ai cuochi a quale temperatura conservare il pesce, quali tipi di ghiaccio utilizzare, perché e come salare i filetti… Ma la parte più spettacolare di questa conferenza improvvisata è una dimostrazione di ikejime, un’antica tecnica giapponese di abbattimento che Maeda continua a perfezionare. Il pescivendolo estrae due sugarelli vivi da una vasca. Recide grossolanamente la gola del primo e pratica un’incisione profonda alla base della testa del secondo, perforando il cervello. Il metodo è brutale ma efficace. Il primo pesce convulsiona a lungo, le sue pinne si alzano, il corpo si tende, mentre il secondo muore istantaneamente, restando immobile. Dopo dieci minuti di attesa, il pescivendolo invita i cuochi a toccare i sugarelli: lo stress ha influenzato la carne del primo pesce, diventata estremamente rigida, mentre l’altro è rimasto morbido. Ciò avrà ovviamente un impatto sulla consistenza durante la degustazione.

A questa tecnica, Naoki Maeda aggiunge due raccomandazioni. Prima di tutto, svuotare il pesce dal sangue, perché se lo si lascia all’interno, questo finirà per decomporsi e puzzare. E poi, distruggere il sistema nervoso. Per fare ciò, l’artigiano esegue un altro gesto tecnico impressionante. Inserisce un filo metallico nel pesce, seguendo la colonna vertebrale. In questo modo, l’animale si degrada molto lentamente e si può conservare per diversi giorni o settimane, a seconda della specie, delle dimensioni e del suo stato al momento della pesca. Al contrario, la carne di un pesce ucciso in modo improprio, asfissiato nelle reti, si irrigidisce e poi si trasforma in poltiglia.

Il metodo nipponico ha spiegazioni più scientifiche: più un pesce è in buona forma, più contiene adenosina trifosfato (ATP) che alla sua morte si trasforma in un’altra sostanza, l’inosinato, che ha un impatto sull’umami, il buon sapore del pesce. In breve, un pesce che deve lottare prima di morire perde il suo ATP, quindi il suo inosinato e il suo buon sapore. Ecco perché è importante acquistare da piccoli pescatori indipendenti: il pesce non è stato schiacciato nelle reti da 600 chili di “compagni” e lo si può uccidere rapidamente, senza sofferenze inutili, per ottenere un prodotto migliore.