“Prince of Persia”, “Tekken”, “Fifa” o “Mario”. Su console, PC o smartphone, questi titoli attraversano il tempo senza mai invecchiare, affascinando più generazioni di fila (Aujourd’hui)

I suoi primi ricordi risalgono all’inizio degli anni ’90. “Ero ancora uno studente, avevo comprato un computer Macintosh LC II per lavorare ma su cui passavo anche ore a giocare”, ricorda Frédéric, un padre di famiglia parigino di 53 anni. “La mia tastiera e il mio mouse hanno sofferto perché picchiavo su di essi per saltare ed evitare le trappole di “Prince of Persia!”. Più di trent’anni dopo, Frédéric potrebbe, se fosse equipaggiato, immergersi di nuovo nel 2024 in questo universo orientale che tanto gli è piaciuto. Il videogioco della sua gioventù è ancora in voga, e un nuovo episodio, “The Lost Crown”, è appena uscito. “Prince of Persia” non è l’unico gioco a godersi una giovinezza quasi eterna. Il gioco di simulazione di calcio “Fifa” ritorna, ogni anno dal 1993, in una nuova versione molto attesa dai suoi fan. Il famoso idraulico di Nintendo, Mario, nato negli anni ’80, è tornato lo scorso anno in una versione 2D che profuma di nostalgia (“Super Mario Bros. Wonder“) e si appresta a vivere nuove avventure sulla console Switch, insieme a “Donkey Kong”.

La lista dei videogiochi che invecchiano senza mostrare il tempo è sorprendentemente lunga nell’era dei titoli dal successo effimero che si scaricano piuttosto su uno smartphone per passare il tempo nel metro o in autobus. Per Mathieu Triclot, ricercatore e professore all’università di tecnologie di Belfort-Montbéliard e autore del libro “Filosofia dei videogiochi”, questa longevità è dovuta, oltre alla qualità grafica o narrativa di un titolo, “al sistema delle licenze che consiste nell’investire molto su un unico prodotto, in una logica economica da blockbuster”, mettendo in evidenza alcune novità in ogni episodio di un gioco che si vende tanto meglio quanto è già noto al grande pubblico. Anche la nostalgia gioca un ruolo, con sempre più giocatori che hanno conosciuto il piacere dei videogiochi nell’infanzia e che vi ritornano più facilmente, soprattutto grazie al retrogaming che permette di rigiocare come un tempo ai titoli che non sono più necessariamente commercializzati”.

L’effetto conforto culturale è più presente nel videogioco rispetto ad altre pratiche culturali. Si passa molto tempo, da soli o con gli amici, e si instaura una forma di impronta, non solo della memoria o dello spirito, ma anche tattile e gestuale, a lungo termine. Questo fenomeno tocca tutte le età. “Mio figlio, ad esempio, è recentemente ritornato a giocare a ‘Fortnite’ (famoso gioco di combattimento Battle Royale), nel momento in cui la società ha riproposto la mappa originale. Gli è piaciuto molto perché era come quando era al college e gli ha permesso di riconnettersi con vecchi amici”.