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Il padre dei Giochi olimpici dell’era moderna ha avuto una vita di alti e bassi, riconoscimenti e avversari (Le Figaro)

La grande avventura di Pierre de Coubertin, padre dei Giochi Olimpici dell’era moderna,  è un mix di trionfi e sconfitte, di nobili ideali, opportunismo e realtà complesse. Un documentario francese racconta in dettaglio l’incredibile lotta condotta da questo figlio di una famiglia agiata dell’aristocrazia che spenderà senza riserve la sua energia e la sua fortuna (finisce in rovina e muore nel 1937, all’età di 74 anni) per realizzare il suo sogno universalista. Quello di riconnettersi con la tradizione sportiva antica mettendo in risalto i valori dello sport come mezzo per educare la gioventù di tutti i Paesi. Un modo anche per lottare per la pace nel mondo. Sotto il suo impulso, i primi Giochi dell’era moderna vennero organizzati in Grecia nel 1896 e, nel 1924, si tennero a Parigi. Un vero successo in cui brillarono le prime star dello sport, come il nuotatore americano Johnny Weissmuller, più conosciuto come Tarzan.

Sebbene sia celebrato in tutto il mondo, il francese Pierre de Coubertin non è mai stato veramente riconosciuto e apprezzato nel suo stesso Paese. Per comprendere al meglio la personalità e il percorso di vita di colui che è all’origine della competizione sportiva diventata il più grande evento mediatico del mondo, la troupe che ha girato il documentario si è recata prima in Normandia. Al castello di Mirville, una proprietà in cui il giovane Coubertin trascorre tutte le sue vacanze. Il discendente del barone, Jacques de Navacelle, proprietario del luogo, racconta che il suo avo praticava qui il canottaggio su uno stagno, giocava a tennis su un vasto prato e si dedicava alla sua passione per la boxe: “Il ripristino dei Giochi è stato in gran parte scatenato dalla sua passione per la storia della Grecia antica”.

La sua visione dello sport, Coubertin la affina, da giovane, durante i soggiorni in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Il suo ideale è rivolto alla gioventù agiata del mondo che intende formare, grazie allo sport, all’eccellenza. È quindi allo stesso tempo universalista ma anche elitista. Questo aristocratico, considerato nel suo stesso ambiente sociale come un originale, respinto in particolare dai suoi due fratelli, è anche ferocemente indipendente. Poiché il governo francese non desidera aiutarlo nel suo progetto olimpico, si rivolge alla sua vasta rete di conoscenze e amicizie. Così ottiene i finanziamenti necessari, oltre ai suoi soldi che spende senza riserve per realizzare il suo sogno. Se il suo elitismo e la sua indipendenza di spirito lo hanno probabilmente reso sospetto agli occhi di alcuni in Francia, oggi gli viene criticata la sua visione della donna. Certo, ha detto nel 1935, e lo si sente in un archivio sonoro: “Non approvo personalmente la partecipazione delle donne (…) ai Giochi olimpici, il loro ruolo dovrebbe essere, come negli antichi tornei, quello di incoronare i vincitori”. Infine, si rimprovera a Coubertin, che non è più presidente del CIO dal 1925, di aver accettato di sostenere i Giochi del 1936 a Berlino: faceva parte di coloro che riusciranno a convincere le delegazioni di tutto il mondo a recarsi in Germania. Ma nonostante l’insistenza dei dignitari d’oltre Reno, non si recherà a questi Giochi, così come non si era recato alle due Olimpiadi precedenti.

Il barone si rese conto solo allora del funesto disegno nazista? Rimane il fatto che, alla fine, quei Giochi del 1936 lasceranno alla storia l’immagine marcante della vittoria brillante del velocista nero americano Jesse Owens. Un trionfo vissuto da Hitler come un’umiliazione pungente.