Rivitalizzato dalla sua industria tessile, il Bangladesh ha fatto enormi progressi dalla sua nascita nel 1971. In quindici anni il reddito annuo pro capite si è quintuplicato e la forza della crescita alimenta la speranza di un reale sviluppo economico (La Croix)

L’industria tessile si sta reinventando. Edifici eleganti, officine moderne e tecnologia all’avanguardia. Alla Beximco, nel parco industriale situato a Gazipur, periferia di Dacca c’è una cittadella del fast-fashion, 40.000 operai assemblano indumenti destinati a vestire l’Occidente. Tra i suoi clienti ci sono Zara, Bershka, Amazon e Marks & Spencer. L’industria tessile nazionale, la terza al mondo, è il polmone economico del Paese. Rappresenta l’84% dei 51 miliardi di euro delle sue esportazioni annuali. Con 4.500 fabbriche e 4 milioni di dipendenti, l’attività è stabile, ma rimane dipendente dalle importazioni di fibre tessili. Fatica anche a creare nuovi posti di lavoro, in un Paese di 171 milioni di abitanti dove ogni anno 2 milioni di giovani entrano sul mercato del lavoro. I salari mensili minimi, rivisti ogni cinque anni, rimangono bassi. Dopo le manifestazioni di ottobre, l’importo è stato aumentato da 8.300 taka (69€) a 12.500 taka (103€), ma è ancora troppo poco.
Nell’aprile 2013, il crollo di questa fabbrica costò la vita a 1.130 operai e mise in luce le loro condizioni di lavoro deplorevoli. Questo ha provocato una presa di coscienza. Molti sforzi sono stati fatti, poiché i produttori non possono permettersi di perdere la loro clientela occidentale. Sotto la pressione degli acquirenti, la sicurezza e la trasparenza sono migliorate notevolmente nel settore esportatore. In Beximco, sono stati fatti passi da gigante in termini di sostenibilità ecologica. Energia solare, conservazione dell’acqua, tracciabilità dei materiali o riciclaggio degli scarti, le innovazioni si moltiplicano. Ad esempio, i jeans vengono sbiaditi e tagliati ecologicamente, con il laser.

La storia del Bangladesh è anche l’incredibile racconto di una rivoluzione economica. Un tempo soggetto a carestie e cicloni, il Bangladesh uscirà nel 2026 dalla categoria dei Paesi meno sviluppati (PMA). Stimato a 2.688 dollari (2.450€), il reddito annuo medio pro capite è quadruplicato in quindici anni. E il Bangladesh sogna di diventare unPaese sviluppato nel 2041, per i 70 anni della sua indipendenza. Una buona notizia riguarda il calo della povertà, che ha toccato il 19% della popolazione nel 2022 contro il 32% nel 2010. Le famiglie sono diventate finanziariamente più solide, e le imprese più dinamiche grazie alla rivoluzione digitale. Nel 2030, il Bangladesh dovrebbe essere il 9° mercato mondiale di consumatori.
Dalla durata media della vita alla mortalità infantile, tutti gli indicatori sociali sono migliorati. In quindici anni, l’accesso all’acqua e ai servizi igienici è raddoppiato. L’elettricità è accessibile al 99% della popolazione e verrà rafforzata dalla centrale nucleare di Rooppur e dallo sviluppo dell’energia solare. I paesaggi sono un cantiere a cielo aperto. Treni, autostrade, ponti, metropolitane, aeroporti e porti si costruiscono in questo Paese tra terra e acqua, che si affaccia sul golfo strategico del Bengala. Alla base del dinamismo c’è una crescita robusta, che oscilla intorno al 6,5% da cinque anni. Durante la pandemia, la crescita ha persino superato per un momento quella dell’India ma la guerra in Ucraina e la congiuntura mondiale hanno portato sfide molto problematiche.

Se la traiettoria a lungo termine del Bangladesh è promettente, il breve termine è effettivamente appesantito dall’aumento delle importazioni, un’inflazione al 9,5% e un calo delle sue riserve di cambio. Il taka è stato svalutato di circa il 30% rispetto al dollaro. Il Bangladesh ha ottenuto dal FMI un prestito di 4,7 miliardi di euro e ora cerca di stringere la sua politica monetaria. Ma il costo della vita ne ha fortemente risentito.

Infine, il cambiamento climatico rimane l’ostacolo più grande al futuro, mettendo costantemente in pericolo l’economia. Alle redini del paese c’è una donna di ferro, la prima ministra Sheikh Hasina. Nonostante una corruzione endemica, gli imprenditori hanno più fiducia in se stessi, in un Paese alla ricerca di investitori e partner. Oggi, la strategia ddi puntare solo sull’esportazione del tessile cambia puntando alla diversificazione. È anche la parola d’ordine del Bangladesh, che punta sullo sviluppo della farmaceutica, dell’energia e delle industrie leggere.

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