(Le Figaro) Il film biopic di Ellen Kuras racconta con un po’ troppa fatica il destino della fotografa che ha documentato l’avanzata degli Alleati in Europa

Modella, musa dei surrealisti, fotografa, autrice, contadina e vera maestra di cucina, Lee Miller ha vissuto diverse vite. Difficile raccontarla senza perdersi. La regista americana Ellen Kuras ha scelto di concentrarsi sulla reporter, l’inviata speciale del “Vogue” britannico che ha coperto la fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa. I conoscitori sanno quanto la fotografia le debba: in particolare i primi scatti di Dachau liberata, quelli, insoliti, dei civili sotto il Blitz e quello, davvero sorprendente, di una donna che si lava nella stanza da bagno di Hitler. Quella donna è lei. In Lee Miller, è Kate Winslet a chiedere al suo compagno, il giornalista di “Life” David Scherman (Andy Samberg), di fotografarla. È allora nuda nella vasca da bagno dell’appartamento di Monaco del Führer, appena occupato dagli ufficiali americani. I due reporter si liberano della sporcizia accumulata durante un lungo viaggio in Jeep attraverso la Germania sconfitta.

Kate Winslet incarna con convinzione questa donna eccessiva sotto molti aspetti. Una donna che non si arrende mai. L’esercito inglese le nega il passaporto per i campi di battaglia, ma lei insiste e convince gli americani. Beve molto, fuma come una ciminiera e prepara i bagagli come un soldato. La “Venere bionda dei surrealisti” emerge a tratti, come quando riceve una miracolosa mutandina di seta inviatale dalla direttrice di “Vogue”. Un biopic per completare il riconoscimento di una figura femminile troppo sconosciuta del XX secolo? Perché no. Ma perché così, in questo film che, cercando di abbracciare tutto di una donna complessa, finisce per farne una caricatura di reporter in sottoveste? Gli sceneggiatori hanno lavorato partendo dagli scritti del figlio, Anthony Penrose, che da circa trent’anni si dedica a mettere in luce sua madre. Su questa base, necessariamente soggettiva e un po’ agiografica, vengono sovrapposte inutilmente immagini stereotipate del gruppo surrealista, in modalità gaudente, fanfarone e pigro.

Una lunga introduzione ci mostra Lee nel sud della Francia con la sua cerchia – Man Ray, Paul Éluard, Jean d’Ayen – e le loro compagne, incarnate da Noémie Merlant e Marion Cotillard, figure intercambiabili di queste francesi brune, vivaci e liberate. La fotografa incontra lì il suo futuro marito, Roland Penrose (Alexander Skarsgard), che presto seguirà a Londra, dove la narrazione prende vigore man mano che la guerra si intensifica. Nel caso in cui lo spettatore perda il filo di questa biografia a più livelli, gli sceneggiatori hanno aggiunto una narrazione secondaria sotto forma di un’intervista che una Lee ormai anziana concede a un giornalista. Quest’ultimo interroga una Kate Winslet invecchiata e muta sul suo passato davanti a delle foto stese sul tavolo del suo salotto nel Sussex. Questa intervista, che interferisce continuamente con il racconto della guerra, finisce per annacquare la descrizione di questo incredibile destino.