(Financial Times) A Dubai, con temperature estive da 44°C e alti livelli di umidità, la differenza tra ricchi e poveri è evidente
Con l’aumento delle temperature globali e l’intensificarsi del cambiamento climatico, le città di tutto il mondo stanno affrontando la realtà del caldo estremo. In regioni già soggette a temperature estive torride, come Dubai e Mumbai, la necessità di adattarsi è particolarmente sentita. Nel Golfo, città come Dubai, Abu Dhabi e Doha sono diventate esempi emblematici di come sopravvivere e prosperare in un mondo dove le temperature possono superare i 50°C. Tuttavia, le soluzioni che emergono spesso riflettono una crescente disparità economica. A Dubai, dove le temperature estive superano regolarmente i 44°C e i livelli di umidità fanno percepire temperature superiori ai 50°C, la differenza tra ricchi e poveri è evidente. Mentre i residenti più facoltosi si rifugiano in centri commerciali climatizzati, piste da sci al coperto o persino parchi con percorsi jogging climatizzati, molti lavoratori migranti continuano a lavorare sotto il sole cocente. Questa disparità non è solo una questione di comodità, ma di sopravvivenza. Nel 2023, all’aeroporto internazionale di Dubai è stata registrata una temperatura percepita di 62°C a causa dell’elevata umidità. In Arabia Saudita, più di 1.300 pellegrini sono morti sotto un caldo di quasi 50°C durante l’hajj, mentre in India le ondate di calore hanno causato oltre 110 morti e decine di migliaia di casi di colpi di calore.
Il boom economico del Golfo, alimentato dalle esportazioni di combustibili fossili, ha permesso lo sviluppo di città moderne in uno dei climi più ostili del pianeta. Città come Dubai e Abu Dhabi mostrano come le risorse finanziarie possano consentire alle società di vivere in ambienti che altrimenti sarebbero inabitabili. Tuttavia, con l’aggravarsi della crisi climatica, queste città stanno diventando anche esempi di come i rischi climatici possano esacerbare le disuguaglianze sociali. Ciò che accade nel Golfo potrebbe presto essere un’anticipazione di quello che accadrà in molte altre parti del mondo, come l’Europa meridionale, gli Stati Uniti meridionali, l’India e il Bangladesh, che si prevede affronteranno simili estremi termici nei prossimi anni. Storicamente, il clima del Golfo ha reso difficile la vita a grandi popolazioni, con temperature elevate, scarsità d’acqua e terreni agricoli limitati. I petrodollari hanno trasformato questa realtà, permettendo ai Paesi del Golfo di importare cibo, costruire impianti di desalinizzazione e climatizzare intere città. La popolazione degli stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) è esplosa da meno di quattro milioni nel 1950 a quasi 60 milioni oggi.
Le città costruite durante questo boom si basano su energia fossile a basso costo, che ha contribuito al cambiamento climatico e all’intensificazione del caldo estivo. Nonostante le risorse finanziarie per raffreddare le città, la dipendenza da soluzioni ad alta intensità energetica è problematica. Il raffreddamento rappresenta fino al 70% del consumo elettrico durante le ore di punta, mettendo a dura prova le reti elettriche. Inoltre, i grattacieli in vetro e acciaio sono poco adatti al calore del deserto, richiedendo un raffreddamento continuo. Le conseguenze del caldo estremo si fanno sentire più fortemente tra i lavoratori migranti, provenienti da paesi già colpiti dal cambiamento climatico. Lavoratori asiatici provenienti da India, Pakistan e Nepal costituiscono la spina dorsale delle industrie edili e dei servizi del Golfo, lavorando in condizioni climatiche pericolose. Studi condotti in Kuwait mostrano che gli uomini non kuwaitiani hanno una probabilità tre volte maggiore di morire durante le ondate di calore rispetto ai cittadini, nonostante siano generalmente giovani e in buona salute.