Viaggio al centro di una passione culinaria che punta a garantire la purezza e l’autenticità della “madre” di tutte le pizze (El Pais Semanal)

L’Associazione Vera Pizza Napoletana nasce 40 anni fa. La sua missione è garantire la purezza e l’autenticità della madre di tutte le pizze. La linea che separa il fondamentalismo dall’integrità è di solito molto sottile. Soprattutto per coloro che ne subiscono le conseguenze o non sono capaci dei sacrifici che tale purezza comporta. Il 14 giugno 1984, 17 ragazzi con le mani macchiate di farina si presentarono presso uno studio notarile vicino al porto di Napoli. I Lombardi, i Capazzo, i Matozzi, i Pace o i Marino avevano in comune legami di sangue e ore dedicate a consacrare un segreto che tramandavano a figli e nipoti. Le antiche famiglie partenopee si preparavano quella mattina a suggellare un patto d’onore che avrebbe custodito per sempre un modo di vedere il mondo e una parte fondamentale della tradizione napoletana. Antonio Pace, uno di quegli uomini che ogni giorno accendevano un forno a legna con un piccolo timbro di Sant’Antonio che proteggeva il suo fuoco, decise di convincerli a firmare davanti a quel notaio un rigido codice su come dovrebbe essere fatta l’autentica pizza napoletana. Ingredienti, cottura, tipo di forno… Oggi, esattamente 40 anni dopo quell’incontro, la Real Associazione Pizza Napoletana, qualcosa come i Cavalieri della pasta tonda, conta 1.100 soci in 59 nazioni diverse.

Nella sede della scuola dell’associazione studenti da tutto il mondo si immergono nel corso di quattro settimane per diventare pizzaioli. O, almeno, avere gli elementi per entrare in quel mondo. La storia della pizza è una miscela di storie trasmesse oralmente. Molte sono leggende. Altri sono solo finzioni. E le origini sono anche fonte di alcune controversie nelle grandi famiglie dei pizzaioli. La realtà, o almeno quella che i pochi libri di storia su questo argomento raccontano, è che nel giugno del 1889 il cuoco Raffaele Esposito fu convocato dalla regina Margherita di Savoia nel palazzo di Capodimonte per preparare tre pizze. Il monarca ne apprezzò particolarmente una sulla cui superficie c’erano pomodoro, mozzarella e basilico (la bandiera tricolore italiana), che fino ad allora era stato chiamato pummarola e mozzarella. Una pizza che, ovviamente, non era la prima volta che veniva fatta, ma che da allora ha ricevuto il nome della regina.

Uno dei protagonisti della pizza è il pomodoro San Marzano, quella gustosa varietà a forma di pepe dal sapore agrodolce, che era quasi scomparso a causa della fredda logica industriale. Ma le nuove generazioni l’hanno salvato da un mercato morente. E in questo modo per migliorare la qualità della pizza, hanno finito per contribuire all’industria e all’agricoltura del territorio. È la magia di certi piatti. Oggi, l’80% di questa varietà domina di nuovo le pizzerie che a loro volta però si stanno dividendo in seguaci del forno a legna (la secolare tradizione) e forni elettrici che dopo un iniziale scetticismo ha convinto anche la gran parte dei fruitori.

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