I fallimenti dei giganti immobiliari cinesi stanno minando il morale della popolazione, con il 60% del risparmio investito in questo settore (Paris Match)
La notizia era attesa, ma non per questo ha avuto meno effetto di una bomba. Il tribunale di Hong Kong ha ordinato la liquidazione del colosso immobiliare China Evergrande Group, il più grande della Repubblica Popolare Cinese, con 120.000 dipendenti e un patrimonio di quasi 50 milioni di metri quadrati. La decisione è arrivata dopo sette udienze relative a una richiesta depositata nel giugno 2022. Evergrande ha un passivo di oltre 270 miliardi di euro. La High Court di Hong Kong ha nominato lo studio di consulenza Alvarez & Marsal (A&M) come liquidatore ufficiale. Secondo Tiffany Wong di A&M, che supervisionerà l’operazione, l’obiettivo sarà di “recuperare il massimo valore possibile dalla vendita degli asset”.
Per Philippe Aguignier, ricercatore associato all’Institut Montaigne, “si tratta prima di tutto di un problema sino-cinese, anche se i debiti dei promotori locali convertiti in obbligazioni sui mercati internazionali non valgono più nulla. L’impatto sul mondo occidentale è marginale”.
La liquidazione di Evergrande è un caso esemplare per la crisi del settore. Data la vastità e la complessità di Evergrande, la sua liquidazione potrebbe richiedere anni. Almeno altri tre promotori immobiliari cinesi sono stati infatti messi in liquidazione dall’inizio della crisi del settore (2020-2021). Facendo eco allo slogan di Xi Jinping “le case sono fatte per essere abitate, non per speculare”, la banca centrale ha tagliato da un giorno all’altro i crediti ai promotori immobiliari troppo indebitati. Cantieri fermi per mancanza di fondi e proteste di proprietari infuriati sono solo alcuni dei segnali di un malcontento diffuso.
Le linee di credito specifiche per finalizzare i progetti in corso non sono sufficienti a salvare i responsabili della crisi. Le aziende di stato sono spinte a subentrare nei progetti delle società private in difficoltà. Tutto questo sta minando il morale di investitori e famiglie, il cui 60% del patrimonio è composto da immobili. A dicembre, le principali città cinesi hanno registrato un calo dei prezzi delle abitazioni su base mensile, nonostante i numerosi piani delle autorità per sostenere il settore. Delle 70 città dell’indice ufficiale di riferimento 62 sono state interessate da questo calo, contro le 33 del gennaio 2023. Ciò mette a rischio molte province cinesi le cui finanze dipendono dalle entrate, soprattutto fiscali, del settore immobiliare.
La paura di un nuovo Lehman Brothers, questa volta in Cina, non è però pronosticabile. Non ci sarà una crisi sistemica. Le banche cinesi sono solide, ma l’impatto sulle famiglie sarà severo. La maggior parte degli esperti propende per uno scenario “à la giapponese”, con una lunga fase di stagnazione. A fine gennaio, uno studio della Bank of America ha rilevato che, alla fine del 2023, i grandi investitori si sono liberati delle azioni dei mercati emergenti per acquistare azioni americane a un ritmo record, per timore di una potenziale crisi globale che potrebbe affondare le sue radici in Cina. Nel 2023, anno di ripresa post-Covid, la Cina ha registrato una crescita economica del 5,2%, considerata insufficiente e una delle più basse degli ultimi trent’anni, escludendo gli anni del Covid. Tutti i dati economici sono in rosso: mentre la domanda interna è in sofferenza, il rallentamento mondiale ha pesato sulle esportazioni che sono arretrate per la prima volta dal 2016, con un calo del 4,6%. In un contesto globale alle prese con l’inflazione, la Cina si trova invece ad affrontare la deflazione. L’indice dei prezzi alla consumazione è in calo negli ultimi tre mesi e ha raggiunto -0,2% su base annua, ben lontano dall’obiettivo del +3% fissato da Pechino.